Falconeria

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Cibo Naturale per cani
nino Ghia
Un precursore della falconeria del 900 : al centro Nino Ghia presidente una delle prime associazioni d’Italia
(Associazione italiana falconieri ed astorieri) di Genova.
E’ stato un grande uomo ed un grande falconiere italiano. Foto di Antonio Centamore

Falconeria ancora nel XXI secolo…, in molti si chiederanno: “Che senso ha?…” e soprattutto : “Cos’è, esattamente?…”

Credo che non ci siano risposte precise a queste due semplici e spontanee domande, perché, come tutte le discipline che provengono dalla storia dell’umanità e che perdurano intatte scavalcando millenni di evoluzione, hanno il senso che l’uomo attribuisce loro nel suo intimo… e quindi sono talmente interiori da non poter essere definite.

Potremmo partire dalla falconeria con la “effe” minuscola, cioè da quella pratica di addestramento dei rapaci diurni che consente di farli cacciare per l’uomo, come viene definita sui dizionari da bancarella.

Oppure dalla Falconeria, naturalmente più cara a chi la pratica, con la “Effe” maiuscola… quella viscerale che ogni “Falconiere” sente e vive, senza dividerla con nessun altro se non con il proprio falco.

Questo inizio poco “tecnico” per mettere subito in chiaro che far volare i falchi non può essere banalizzato assimilandolo ad una qualsiasi tecnica circense di addomesticamento animale, poichè, allo stesso modo in cui un musicista deve conoscere lo strumento per poi creare l’arte, il Falconiere tramite la tecnica per condizionare il falco può vivere sensazioni molto profonde che lo avvicinano non solo alla natura nella sua essenza fondamentale della vita e della morte, ma alla ricerca universale del senso della nostra stessa esistenza e della sua fatale fragilità.

Non è una esagerazione, volare i falchi non può essere casuale o saltuario o “tanto per fare” e condiziona moltissimo chi ci si dedica. O si sente dentro o si smette. Non ci sono alternative.

In questi ultimi anni abbiamo assistito alla crescita della visibilità del lato più “frivolo” della falconeria, cioè quello legato alle esibizioni in pubblico, oppure alle manifestazioni fieristiche e storico-rievocative.

I falchi sono anche diventati importanti mezzi di lavoro per nuove attività come il controllo degli uccelli negli aeroporti, nelle discariche cittadine, negli allevamenti ittici o nei capannoni industriali.

Abbiamo poi visto figuranti medioevali nelle feste di paese, far volare i loro falchi sulle teste dei bambini divertiti, o farli passare fra le loro braccia messe a cerchio.

Oppure abbiamo applaudito i falconieri a cavallo nelle sagre di campo, anche di livello nazionale, in costume ed in groppa a destrieri fieri ed eleganti.

Ma per me la Falconeria, è cosa molto, ma molto più umile. Non c’è niente di altisonante o di necessariamente dipendente da un pubblico da soddisfare..

C’è sacrificio, sforzo di comprensione di un’altra entità, il falco, con cui si può dialogare soltanto utilizzando il suo linguaggio, pazienza, pazienza infinita e auto controllo, volontà indistruttibile di creare una complicità istintiva.

E si impara a tollerare tutto, per arrivare alla “comprensione reciproca”…, è come essere genitore e figlio del proprio falco.

Questo è il risultato finale a cui deve tendere chi vuole sentirsi “Falconiere”.

Diceva un grande Falconiere americano: “Quello che il falconiere insegna al falco, non è nulla, se paragonato a ciò che il falco insegna all’uomo”…………… ed io credo che sia così.

Premesso tutto ciò… e convinto del fatto che nessuno scritto, naturalmente in primis quello che state leggendo adesso, possa veramente spiegare la Falconeria , mi piacerebbe iniziare con la storia della falconeria, non la storia che cita quell'”ars venandi cum avibus” tanto cara all’illuminato imperatore Federico II di Svevia, di cui magari parlerò in seguito, non la storia che parte dalla civiltà orientale che 2 mila anni prima di Cristo già addestrava falchi per cacciare gli uccelli, insomma non della solita storia che si trova all’inizio di ogni libro sull’argomento, ma della piccola storia nostra, dell’Italia del ‘900 che per voce di piccoli appassionati ante litteram, cercava di ripescare una disciplina che pareva ormai persa e veramente sconosciuta.

La storia della Falconeria italiana, o almeno quella che ho vissuto attraverso i racconti di Falconieri nostrani, esistiti veramente e che si sono ritrovati parte della “storia”, loro malgrado, semplicemente costruendola giorno per giorno.

Ho sempre pensato che quello che ognuno di noi è veramente, non lo è perché “lo è diventato”, ma perché ce l’ha nei geni. Tutto ciò che “diventiamo” crescendo, con lo studio, con il lavoro, con la cultura ed i condizionamenti sociali, è acquisito… e per forte che sia, non sarà mai come quello che abbiamo dentro prima ancora di nascere.

Così… “c’era una volta”…. ………………una persona, di cui diventai amico negli ultimi anni della sua vita, che nacque con la passione per i falchi. Ma non lo sapeva…

Si accorse di essere attratto dagli uccelli prestissimo ed in particolare dagli uccelli da preda, ma non sapeva perché.

Li vedeva nei pochi libri che trovava al suo tempo, nelle aquile delle insegne araldiche che il regime fascista, durante il quale era nato, affiggeva dovunque.

Gli piacevano le unghie lucide e nere ed i becchi adunchi e pur non conoscendone i nomi, né altro, ne era letteralmente affascinato. Non era un nobile, aristocratico ed in famiglia nessuno era interessato alla sua “mania”, veniva dal popolo e con sacrificio riuscì a diventare disegnatore tecnico nelle Ferrovie dello Stato.

Era finita la seconda guerra e lo stipendio fisso, per basso che fosse, pareva una chimera. Pur squattrinato ed in affitto a Firenze, riuscì a comprare, in un mercatino di animali, un gheppio femmina.

Allora i rapaci diurni erano considerati “nocivi” ed era ammesso abbatterli e farne commercio senza alcun problema. Non sapeva che tipo di falco fosse (lo capì più tardi…) ma ne era esaltato.

Non sapeva niente di come tenerlo o cosa farne… non aveva progetti, ma non riusciva a separarsene. Il problema era nutrirlo, considerando anche che era già complicato arrivare a fine mese per lui.

Così, dopo due giorni che il gheppio non mangiava, alla disperata, una mattina il nostro ferroviere, vergognandosi un po’ di quello che stava per fare, scese in strada presto, mantenendosi poco in vista, in un vicoletto vicino a Piazza della Signoria ed in quel contesto urbano, che nulla aveva di altisonante ed agreste, lasciò volare la femmina di gheppio verso i piccioni che ignari razzolavano nella strada. La preda, che in natura il gheppio non si sarebbe mai sognato di attaccare, fu invece facilmente raggiunta in un ambiente in cui i piccioni erano spesso confidenti e malaticci.

Così, nel 1947, Nino Ghia, questo era il nome del Falconiere, reinventò la Falconeria in Italia… quella con la “Effe” maiuscola….e senza neppure rendersene conto.

Conobbi Nino per caso nel 1988 e diventammo amici. Fu lui ad insegnarmi l’ABC del falconiere.

Aveva l’età di mio padre, ma ogni volta che liberava la pellegrina per farla volare, gli tremavano le mani, non solo per l’età e la salute minata dalle troppe “Diana blu”, ma soprattutto per l’emozione infinita e profonda del “volare”.

Iracondo e testardo, ma vero e schietto come un bambino, fino all’ultimo, scrisse che voleva essere messo nella bara con la giacca da caccia, la borsa da falconiere, il suo logoro e gli stivali ai piedi. E così fu.

La sua ultima pellegrina gli sopravvisse per anni ancora.

Non mi ha insegnato, Nino, a volare alti i falchi o a fare tornare al guanto l’astore da lontano, la sua emotività gli faceva vivere le vita e la Falconeria più con il cuore che con la razionalità, ma mi ha mostrato, semplicemente vivendo, che cos’è una passione vera.

Conservo gelosamente le lettere originali della sua corrispondenza con il Dott. Ernesto Coppaloni, grande cinofilo, selettore di pointers con l’affisso “Della Gaia”, che all’inizio del ‘900 praticava la Falconeria nelle pianure padane e che casualmente entrò in contatto epistolare con Ghia appena finita la guerra.

Nino si era trasferito a Genova e Coppaloni prendeva il traghetto per andare in Sardegna ad allenare i cani sulle rosse e sui beccaccini, così si incontrarono e nacque un’amicizia forte, che mai passò al darsi del “tu”, ma che era intrisa di un rispetto reciproco ed una complicità impossibili da ripetere ai giorni nostri, imbrigliati come siamo dalle frenetiche comunicazioni telematiche. Altri tempi?

Forse altre persone…

Questa è la storia e l’essenza della Falconeria che intendo io, non per le sdolcinature dei ricordi, ma per il valore reale degli obbiettivi raggiunti con partecipazione e sacrificio.

La Falconeria?

Che senso ha? Che cos’è, esattamente…?

Artigianato o arte?

Spero più avanti di riuscire a dare un’idea della parte “artigianale” della Falconeria, parlando dei falchi, degli strumenti, dei metodi di addestramento e caccia, delle leggi e magari di episodi vissuti, ma per quanto riguarda la parte interiore, “artistica”…, lascio ad ognuno le proprie emozioni.

Amedeo Traverso

www.lacaccia.net

Dedicato ai Falconieri Professionisti