DAL VANGELO SECONDO MATTEO (capitolo 1)

Vangeli… l’assoluta opinabile certezza!

LA BILANCIA

Senza titolo-1 copiaÈ forse questo uno degli argomenti più ostici da trattare. Preconcetti e scarsa informazione hanno portato in diversi casi alla “santificazione” di un mezzo che è in grado di decidere le sorti della giornata; in altre parole se la bilancia decide che oggi non si vola, allora non si vola.

Una delle tradizioni dura a morire è la regola di Mavrogordato, che prevedeva di diminuire un falco del 10% del suo peso corporeo, onde ottenere uno stato di fame nel falco che, in qualche modo, lo legasse imprescindibilmente alla sua fonte di cibo/falconiere.
Mantenere queste percentuali di riduzione dell’animale non trovano più applicazione nel moderno mondo della Falconeria; i nostri rapaci non subiscono più l’istintiva attrazione di tornare in natura (perché non sono più animali catturati), ma abbiamo vinto quel passaggio col corretto uso dell’imprinting.
Ora, sull’imprinting si aprirebbe un altro lungo capitolo, in certi casi anche più arduo di quello sulla bilancia, quindi non mi soffermerò più di tanto, ma non vi preoccupate, avrò modo di riprendere l’argomento in un altro articolo.

La fame è senza dubbio una componente importante nel condizionamento dei rapaci, ma in percentuale ricopre non più del 20% dei fondamentali relativi al suo indottrinamento. È sicuramente un ottimo inibitore per quei falchi che hanno le zampe “dolci” (cioè che colpiscono gli animali poco incisivamente tanto che a volte risulta essere più una spinta che una stoccata), ha certamente un ruolo importante nel gioco di rinforzi e punizioni e senza dubbio è lo stimolo madre del riflesso condizionato;

Ma la fame è un elemento che va strutturato, non imposto in funzione di una macchina che non fa altro che documentare il peso di massa corporea e esprimerlo in freddi numeri privi di ogni informazione sul suo naturale riflesso vitale.
Pesare un falco determina solo il suo eventuale stato di deperimento. Dal mio punto di vista un falco da alte prestazioni deve poter volare al massimo della sua fisicità.
Costruire una struttura muscolare asciutta e vibrante vuol dire fare in modo che un falco possa esprimere al meglio le sue possibilità; ma se per stimolare ulteriormente la fame portiamo via parte dei suoi muscoli, non faremo altro che ottenere una diminuzione delle sue potenzialità, creando uno stato di stress in un animale che invece sarebbe naturalmente portato a vedere la sua massima espressione proprio in ciò di cui abbiamo bisogno.

Sembra, da ciò che leggo sia sui social network in internet e dai tanti discorsi fatti intorno all’addestramento dei rapaci, che la Falconeria sia legata ai grammi che determinano il peso di un falco.

A mio avviso la bilancia come la radio diminuiscono sostanzialmente la sensibilità di un falconiere; a volte pochi grammi sembrano poter fare la differenza tra il volare e il restare a casa.
A scanso di equivoci, per come la vedo io: un falco deve volare sempre e, solo l’esito del volo determinerà i suoi rinforzi o le sue eventuali punizioni.
Mi sembra incredibile relegare ad una bilancia la decisione di un volo, o se un falco deve o non deve mangiare.
Anche un brutto volo è un modo di insegnare qualcosa ad un falco. Dare un giorno di digiuno ad un falco che tende ad accomodarsi (magari proprio quando è molto alto di peso), serve a non far abbassare mai la guardia al rapace, portandolo ad uno stato di forma tale da concentrare il suo sforzo sia per la naturale soddisfazione della fame, che come prevenzione ad un eventuale giorno di digiuno.

L’utilità della bilancia è indiscutibile, ma deve essere usata come supporto, con parsimonia e/o come quadro della situazione fisica del falco; va letta sui medi periodi e non sui momenti. Nelle diverse stagioni un falco deve avere un peso ideale, determinato dalla sua attività e dalle temperature, la bilancia serve a osservare che tutto vada bene. Un forte calo di peso potrebbe significare che il falco sta avendo dei problemi, quindi la bilancia assume un ruolo di monitoraggio del falco. Se il falco non ha appetito e perde peso, potrebbe esserci un problema di metabolismo, abbiamo quindi delle ipotesi su cui affrontare un indagine.
Questo è un esempio corretto di lettura della bilancia.

Prima di ogni altro aspetto tecnologico, bisogna creare in un falco un assetto psico-fisico equilibrato. Credo che gli aspetti primari siano la strutturazione di un buon metabolismo, la costruzione di un assetto muscolare ben marcato, un lavoro di condizionamento ben strutturato, basato più sulla ritualizzazione del lavoro che sull’ adescamento dell’animale col cibo.
Se si è lavorato bene un falco avrà sempre fame e se avremo perfettamente relazionato struttura muscolare, metabolismo e ritualizzato correttamente i suoi rinforzi, un falco non ha assolutamente bisogno dell’uso incondizionato della bilancia.
Raggiunti questi valori potremo volare il nostro rapace tutti i giorni, nutrirlo a pieno gozzo con la carne migliore che quel periodo esige, ottenendo così un falco da alte prestazioni.
Matteo D’Errico

LA DIFFICILE QUESTIONE DELL’ADDESTRAMENTO ALL’ITALIANA

falcosangueI social network ormai fagocitano innumerevoli sfumature di addestramenti più o meno discutibili.

Gli ultimi libri sulla Falconeria fanno sfoggio di tecniche addestrative soft. Si inneggia al (validissimo) condizionamento operante, ma guai a parlare di punizione (contemplata benissimo in questa pratica). Si ostentano addestramenti in cui parlare di fame è blasfemia e il digiuno diventa una diabolica pratica medievale, alla stregua della “cigliatura”. Dal metodo Coppaloni ad oggi si sono fatti passi da gigante, ma molti si sono fatti nel verso opposto.

In diversi confronti con giovani falconieri italiani, la sensazione trapelata è che sia l’addestramento in sè la gratificazione stessa dei propri sforzi.
Come se una volta riusciti ad addestrare il falco, il lavoro sia finito e si possa ricominciare ad addestrarne un altro. L’addestramento va considerato come l’inizio del percorso che porterà all’obiettivo finale: la caccia perfetta.

La sensazione che in maggior misura trapela dai vari post di FB è per lo più quella dell’emotiva collaborazione tra falco e falconiere; emozioni introspettive, più legate ad una filosofia di mera interazione con l’animale che di avvincente collaborazione venatoria.
Purtroppo queste considerazioni, sovente, nascono dall’uso dei rapaci negli spettacoli o nel bird controll, dando l’impressione che il lavoro fatto ed il risultato raggiunto siano ottimale in quanto apprezzabili in tali manifestazioni.
La Falconeria è qualcosa che ha a che fare col sangue e per quanto si possa narrare tutta la fantastica poesia che volete, il finale non è il falco che torna al pugno o al logoro. Se non siete pronti per questo, forse la Falconeria non è la pratica che cercavate.
Sacro giovane, addestramento.
È difficile parlare di falchi superiori e falchi inferiori perché non è “umanamente” accettabile come discorso; eppure tutta la storia dell’evoluzione si basa su queste differenze. In natura una nidiata non è una produzione di stampi identici, ma di un gruppo di neonati destinati a morire quasi tutti, tranne qualcuno che in natura diventa il primo della classe… una classe superiore insomma. È facile per chi ha speso molto tempo della propria vita a cacciare coi falconi, accorgersi di queste differenze; ed è normale sperare di ottenere ad ogni acquisto, il miglior falco della nidiata. Credo che prima di criticare questi aspetti bisognerebbe chiedersi quanti dei falchi che avete addestrato, avete portato realmente a caccia.

Quello che mi sento di trasmettere a chi si avvicina alla Falconeria è di non umanizzare questi animali e di non applicare le leggi degli uomini ad animali così differenti da noi. Questo servirà anche a spingere gli allevatori a riprodurre solo i veri campioni cercando di ottenere pulli che mantengano gli aspetti positivi dei genitori.

In ultimo, la mia speranza è che un giorno, anche in uno Stato controverso come l’Italia, venga consentita la cattura dei falconi ad uso riproduttivo, in modo da mantenere nelle specie riprodotte in futuro, un grado genetico superiore.

Matteo D’Errico

Games of Thrones

aquila-1In quel tempo, si narra, che i grandi vecchi avessero avuto in dote, quasi dallo “stupor mundi” in persona, il segreto della Falconeria.

Si narra che in di segrete stanze si forgiassero, quasi fosse metallo temprato, cavalleresche condotte e imprescindibili codici, della di cui integrità morale non si avesse, mai, in alcuna maniera, la possibilità di percepir disubbidienza.

Tale era l’imponenza di questo segreto, che tutti si votarono al silenzio; niente sarebbe trapelato da quelle mura, il volgo (come sempre) doveva restare digiuno dal sapere e mai sarebbe stata loro concessa la minima ambasciata. La Falconeria era salva!

Passarono gli anni ed il segreto sembrava resistere; ma nonostante il grande concordato, l’acume e la favella son virtù dell’uomo, e cercare di precluderne l’impiego ne stimola l’ingegno. Così successe un giorno, che un giovane architetto, amante della caccia e della conoscenza, scoprì, tra le righe di antichi libri, l’esistenza di una nobile arte che ostentava la possibilità di cacciar selvaggi utilizzando magnifici falconi.
Quale animo, dotato d‘un minimo di nobiltà, avrebbe potuto resistere ad un così appetitoso invito a saggiare quella passionale fiamma di cui tanto ostentavano quelle parole.
Bramoso di conoscere, non concesse attesa a questo nuovo ardore e caparbio nella volontà e umile nella richiesta, si convinse a chieder consiglio ai sapienti decani.
Ma il patto era solenne e non concedeva clemenza, cosi alla domanda di conoscenza del giovane architetto, semplicemente non gli fu concessa udienza.

Al vecchio falconiere sembrò chiusa la faccenda, liquidata come ad un cane gli si usa la cortesia di passarlo per la verga quando mostra disobbedienza.
Ma la Falconeria e la Conoscenza, della libertà hanno la stessa “debolezza”, più si cerca di braccarle più sfuggiranno con certezza.

Così, il giovane architetto, vide in quella mancanza di cortesia la forza necessaria a raggiunger l’agognato intento e si ingegnò; pochi e troppo vecchi erano gli scritti trovati in patria, molti non erano nemmeno realizzati da veri falconieri; così decise di muoversi in altre terre. Questo lo aiutò, trovò e carpii i sommi scritti d’un dotto iberico, poi in gran segreto li tradusse e nel bene o nel male li rivelò, consegnandoli al destino. Il segreto era infranto!

Intanto i grandi vecchi solennemente dispensavano l’eredità ai pochi eletti: “…a divulgar si muore”, “i falchi vanno tenuti celati agli occhi del volgo”…
Ma era troppo tardi, quel libro aveva aperto la porta all’umana curiosità, e quando giunse il tempo del “silicio”, bastò colpire dei bottoni per colmar ogni dubbio con certezza.
E tutto ciò che prima era agognato ormai era palese.

Eresia! Sacrilegio! Ora il sapere non poteva più essere fermato! Così, non potendo contrastarne il rapido diffondersi, i vecchi falconieri presero una decisione: se rassegnarsi significava perderne il dominio, allora non potendo tenerla segreta ne sarebbero diventati i maestri incontrastati e d’un tratto si rivolsero agli ignoranti esclamando: “v’insegneremo”….

E tronfi della propria presunta maestria, giù a decantar di leggendari falconi in mitologiche cacciate, di falconieri che insegnavano ai loro falconi con la sola imposizione dello sguardo e che nelle dita conservavano il segreto della “fame”; perché il villano questo capisce: leggende che non potrà mai vivere; perché il villano, guardando in alto, veda sempre le terga di chi gli ha sottratto un sogno.

Ma la storia non finisce qua. Tutto il tempo passato a nascondere quest’arte, aveva in qualche modo scavato un solco incolmabile, come se la Falconeria fosse stata si partorita, ma non conoscesse maternità alcuna.
Questo creò un incontenibile disordine; chi poté seguire i vecchi si barricò in piccoli clan, auto eleggendosi gli unici detentori di verità; quelli che non vollero assoggettarsi ai nuovi regnanti, raminghi cercarono risposte nelle più disparate terre e conoscenze; e in fine, generato dal grande caos, nacquero i giullari falcheggianti, una stirpe folle a tal punto da comunicar coi loro rapaci usando la parola.

Non mi è dato sapere a quale conclusione giungerà questa ardita storia, ma di certo son convinto che il nostro è il popolo che nelle varie ere ha reso perfetta la materia grezza, un popolo che si è sempre imposto come limite l’infinito.

 

“Così come un germoglio cresciuto senza guida si piega e si contorce ma alla fine comunque si rinforza, così la nostra falconeria è ormai un solido tronco ma che conserva nei suoi vizi i peccati d’un tempo”.

Matteo D’Errico