Referendum regionale sulla caccia

Abigor

Aspirante Falconiere
vi riporto qui una cosa che ho trovato su facebook e vorrei sapere che cosa ne pensate in generale.

Si è svolta oggi 15/2/2011 alle ore 11,30 la Conferenza Stampa del Comitato promotore del Referendum regionale sulla caccia del 1987. Nel 1987 vennero raccolte 60.000 firme.

I cittadini del Piemonte avrebbero dovuto votare nel 1988.

Per 23 anni le Amministrazioni regionali di ogni colore con strumentali iniziative legislative e illegittimi provvedimenti amministrativi hanno sempre impedito il voto popolare.

Dopo ben 23 anni la Corte d’Appello di Torino – Sezione prima civile con sentenza del 29/12/2010 ha dato ragione al Comitato promotore del Referendum regionale.

La Regione Piemonte dovrà  da subito riattivare le procedure referendarie per fare esprimere gli elettori piemontesi sulla caccia.



SI DOVRA’ VOTARE SULLA CACCIA



Il quesito chiede ai cittadini se sono favorevoli a ridurre drasticamente l’attività  venatoria attraverso le seguenti azioni:

a) protezione per 25 specie selvatiche oggi cacciabili (17 specie di uccelli e 8 specie di mammiferi),

b) divieto di caccia sul terreno innevato

c) abolizione delle deroghe ai limiti di carniere per le aziende faunistiche private

d) divieto di caccia la domenica.





Non era possibile nel 1987 proporre un quesito che abolisse del tutto la caccia attraverso un referendum regionale essendo l’attività  venatoria prevista da una legge nazionale.

La migliore risposta all’Assessore regionale alla caccia Claudio Sacchetto (Lega Nord) il quale propone di aumentare le specie cacciabili, di cacciare nei parchi, di allungare la stagione venatoria, di introdurre l’arco tra i mezzi di caccia, di autorizzare la caccia alle specie protette dalle norme internazionali …arriverà  dai cittadini.

Nel 1990 nel referendum nazionale contro la caccia il Piemonte fu una delle quattro regioni dove venne raggiunto il quorum del 50% di votanti e dove prevalse il SI’ all’abolizione della caccia con il 90% dei suffragi espressi.



Per il Comitato Promotore del Referendum regionale sulla caccia

Riero Belletti

Silvana Gelatti

Roberto Piana





COMITATO PER LA PROMOZIONE DI INIZIATIVE CONTRO LA CACCIA

Associazione Radicale, Circolo Darwin, Circolo Nuclei Operativi Ecologici, Club Alpino Italiano – Commissione Tutela Ambiente Montano, Club Protezione Animali, Comitato regionale Democrazia Proletaria, Italia Nostra, Lega per l’Ambiente, Lega Antivivisezione, Lega Italiana Protezione Uccelli, Lista Verde, Lista Verde Civica, Pro Natura, Telefono Verde Piemonte, World Wildlife Found (dal 1987)

c/o Pro Natura – Via Pastrengo 13 – 10128 Torino

Tel. 011 5096618 / Cell. 348 4991623



Torino, 15 febbraio 2011





COSA STABILISCE LA SENTENZA



La sentenza n. 1896/10 del 29 dicembre 2010 della Corte di appello di Torino, confermando sostanzialmente la pronuncia di primo grado del Tribunale di Torino, ha sancito la sussistenza del diritto soggettivo del Comitato promotore del referendum all’espletamento della procedura referendaria, illegittimamente interrotta dalla Regione Piemonte.



Nell’alveo della giurisprudenza della Corte costituzionale, la sentenza osserva preliminarmente come, in caso di sopravvenienza di una nuova disciplina, che non modifichi in modo sostanziale i contenuti normativi essenziali delle disposizioni oggetto della richiesta referendaria, “la sottoposizione della nuova legge al voto popolare, qualora essa introduca modificazioni formali o di dettaglioâ€�, oltre a corrispondere alle intenzioni del Comitato promotore, “rappresenta la strada costituzionalmente obbligata per conciliare – nell’ambito del procedimento referendario – la permanente potestà  legislativa delle Camere con la garanzia dell’istituto del referendum abrogativoâ€�.



A tal riguardo, la Corte riconosce come l’intendimento dei promotori fosse quello non già  di conseguire l’integrale abrogazione della legge sulla caccia, bensì quello, piö limitato, di introdurre soltanto alcune – per quanto significative – restrizioni all’esercizio dell’attività  venatoria sul territorio regionale. In virtö di tale fondamentale constatazione, la sentenza disattende l’argomento difensivo adombrato dalla Regione Piemonte, a detta della quale la consultazione referendaria sarebbe stata tesa ad impedire lo svolgimento di un’attività  (quella venatoria) senza dubbio consentita dalla vigente legislazione nazionale.



Poste siffatte premesse, la Corte nega l’asserito carattere innovativo della l. 70/96, rilevando che non solamente gli specifici contenuti normativi delle singole disposizioni, ma, altresì, gli stessi principi ispiratori della nuova e della previgente disciplina, non risultano essere stati oggetto di significative modificazioni. Tanto la normativa attuale, quanto quella abrogata, si pongono come obiettivo la tutela della fauna selvatica, dettando, a tal fine, un’articolata disciplina dell’attività  venatoria, che, pur rivelandosi piö restrittiva nelle previsioni della nuova legge di quanto non avvenisse in passato, evidenzia una sostanziale continuità , per principi informatori, strumenti giuridici adottati e finalità  perseguite, fra antica e recente legislazione.



n esito ad approfondita disamina, da un lato, delle disposizioni della nuova e della precedente normativa e, dall’altro, dei quesiti proposti, la Corte perviene alla conclusione che siano tuttora attuali e, dunque, trasferibili sulle corrispondenti previsioni della vigente legge, le richieste referendarie relative a:

*

riduzione delle specie cacciabili;
*

divieto di caccia nella giornata di domenica;
*

eliminazione delle esenzioni al divieto di caccia sui terreni innevati;
*

abolizione del regime privilegiato riconosciuto alle aziende private di caccia.



Preme osservare come la sentenza, nel giungere a dette conclusioni, rifiuti categoricamente di prendere in considerazione argomenti di ordine lato sensu politico (ingenti costi della consultazione referendaria, possibile difficoltà  a raggiungere il quorum, scarso interesse dei quesiti), cui la Regione Piemonte aveva in buona parte affidato le proprie speranze di sovvertire l’esito del giudizio di primo grado. La Corte è ferma nell’osservare, a tal proposito, come oggetto del giudizio non sia “l’opportunità  o la convenienza del quesito referendario in rapporto all’attuazione dei vari e complessi interessi in gioco (aspetti la cui valutazione compete unicamente ai cittadini elettori)â€�, non spettando evidentemente al giudice “di valutare le conseguenze (in termini di politica legislativa) dell’eventuale accoglimento del quesito referendario abrogativo alla luce dei complessivi valori recepiti dall’ordinamentoâ€�, in quanto il thema decidendum devolutole risulta del tutto “avulso da ogni considerazione di incidenza economica ovvero politica (nel senso della opportunità  o rispondenza dell’iniziativa referendaria all’interesse pubblico) che si ponga a valle dell’iniziativa stessaâ€�.



Particolarmente significativo, a tal riguardo, è, poi, il riconoscimento del rilievo costituzionale del diritto dei promotori del referendum all’espletamento della procedura referendaria, “in conformità  al dato costituzionale, nonché alla legge statale e regionale, che ravvisa nell’istituto referendario un primario strumento di partecipazione democratica dei cittadini al processo di formazione legislativaâ€�. Donde l’impossibilità , così per lo Stato e le Regioni, come per il giudice, di “negare tale diritto in ragione dei costi economici – se non addirittura degli sprechi – indotti dall’iniziativa; men che meno, una simile valutazione potrebbe essere fatta sulla scorta di considerazioni del tutto opinabili e per lo piö di tipo prognostico (il disinteresse degli elettori per la materia, il verosimile mancato raggiungimento del quorum, la sussistenza nell’ambito del bilancio regionale di altre e preminenti esigenze di cassa, la difficoltà  di percezione del significato dei quesiti da parte del grande pubblico, ecc.)â€�, argomenti tutti vanamente prospettati nel corso del giudizio dalla difesa regionale.



La tesi difensiva della Regione Piemonte viene, dunque, dalla sentenza della Corte, perentoriamente confutata. Pieno riconoscimento ottiene, invece, l’inviolabile (ma, di fatto, per tanto tempo violato) diritto dei cittadini piemontesi ad esprimere, attraverso il piö importante (se non l’unico) istituto di democrazia diretta previsto dall’ordinamento (il referendum), il proprio libero convincimento in merito ai quesiti, a suo tempo proposti dal Comitato promotore, sul tema della caccia.



La sentenza, pur accogliendo pressoché integralmente le ragioni del Comitato promotore del referendum, non ravvisa, peraltro, gli estremi per la condanna della Regione Piemonte al risarcimento del danno sofferto dagli stessi promotori, per l’ormai ultraventennale ritardo nello svolgimento della procedura referendaria. A giudizio della Corte, infatti, non sarebbero individuabili specifici profili di colpevolezza nell’operato (comunque illegittimo, sul piano obiettivo) dei funzionari e, in genere, delle istituzioni regionali, tesi discutibile ma che, in ogni caso, non offusca il nitore di una decisione, quale quella in commento, cui va innegabilmente riconosciuto il merito di aver reso finalmente giustizia alle ragioni del Comitato promotore, vistosi per oltre ventitré anni conculcare l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.



Torino, 15 febbraio 2011



COSA CHIEDE IL REFERENDUM REGIONALE SULLA CACCIA



Il referendum non chiede l’abolizione della caccia. Non era possibile richiedere con un referendum regionale l’abolizione di una attività  prevista da una legge regionale. Ne chiede pero un sostanziale ridimensionamento, fatte salve le esigenze dei settori produttivi che potrebbero subire contraccolpi negativi da una presenza squilibrata di fauna selvatica sul territorio. I piö importanti aspetti del quesito referendario sono i seguenti.



Limitazione al numero delle specie cacciabili. Il quesito prevede che rimangano cacciabili solo piö quattro specie: lepre, fagiano, cinghiale e colino della Virginia (una specie di origine esotica introdotta ad esclusivi fini venatori, la quale, nel frattempo, è pero stata inserita nell’elenco di quelle protette a livello comunitario e quindi depennata anche a livello regionale). Rimarrebbero quindi tre sole specie cacciabili. Da notare che, rispetto alla legge vigente nel 1988, il referendum chiede la protezione di 37 specie. Di queste, ben 25 sono oggi ancora cacciabili. Queste sono:

Uccelli (17 specie) Mammiferi (8 specie)
quaglia (Coturnix coturnix) coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus)
tortora (Streptopeia turtur) muflone (Ovis musimon)
beccaccia (Scolopax rusticola) lepre bianca (Lepus timidus)
beccaccino (Gallinago gallinago) volpe (Vulpes vulpes)
pernice rossa (Alectoris rufa) camoscio (Rupicapra rupicapra)
starna (Perdix perdix) capriolo (Capreolus capreolus)
cesena (Turdus pilaris) cervo (Cervus elaphus
tordo bottaccio (Turdus philomelos) daino (Dama dama
tordo sassello (Turdus iliacus)
germano reale (Anas platyrhynchos)
colombaccio (Columba palumbus)
cornacchia nera (Corvus corone)
cornacchia grigia (Corvus corone cornix)
gazza (Pica pica)
pernice bianca (Lagopus mutus)
fagiano di monte (Tetrao tetrix)
coturnice (Alectoris graeca)

Da notare ancora che il quesito referendario continua a prevedere la possibilità  di intervenire con abbattimenti di controllo laddove l’eccessiva presenza di fauna selvatica comporti danni alle attività  agricole.



Divieto di caccia nella giornata di domenica. Scelta legata soprattutto alla necessità  di evitare situazioni di pericolo per tutti i frequentatori dell’ambiente “disarmatiâ€� (escursionisti, agricoltori, cercatori di funghi, ecc.). Oggi la caccia è permessa solo per alcuni giorni della settimana, ma la domenica è sempre tra questi.



Divieto di cacciare su terreno coperto da neve. Già  oggi è così: sono tuttavia previste numerose eccezioni (ad esempio la caccia alla volpe, agli ungulati e alla tipica fauna alpina) che il quesito vorrebbe invece eliminare.



Limitazione ai privilegi concessi alle aziende faunistico-venatorie. Di fatto, nelle ex riserve private di caccia si possono abbattere animali in numero molto maggiore rispetto al territorio libero, non dovendosi applicare i limiti di carniere per molte specie. Il referendum vuole abolire questo privilegio per chi puo permettersi di andare a caccia in strutture private.



Torino, 15 febbraio 2011
 
a parte tutto il resto, togliere la caccia a i corvidi è segno che chi propone questa roba non è mai andato nel bosco e si è messo mezz'ora a guardare cosa succede.
 
chi propose il referendum a quel tempo nn son le stesse persone che hanno eletto il presidente della regione adesso, anche se la sentenza è certa e il farlo sarà  obbligatorio, il risultato non lo è. bisognerà  vedere quanti soldi hanno voglia di buttare.
buon volo
 
ho letto tutto ma ammetto che non comprendo alla lettera ogni cosa...
Se qual'ora questo referendum dovesse passare, varrebbe solo sul territorio piemontese?
Ciao ciao...
 
Questo referendum si riferisce al solo Piemonte, pero non è da escludere che se dovesse passare non venga proposta una cosa simile a livello nazionale...
 
c'è da dire che in questi anni molte cose sono cambiate, ad esempio non si va piu a caccia di ungulati, ma si fa selezione o prelievo selettivo, quindi previsto anche dal referendum, la caccia con la neve è gia vietata e il prelievo selettivo essendo tale è consentito anche con la neve.
comunque è un gran guazzabuglio di assurdità . :cry:
 
Si, è un referendum un po campato per aria, anche visto il tempo passato, sarebbe da riscriverlo quasi tutto.

Io per su alcune specie non sarei proprio in disaccordo, tipo la cornacchia nera ( che è quasi introvabile) il fagiano di monte, e tortora, aprendo pero a quella dal collare.....
 
si jery hai ragione.
cmq è gia tanto che chi fa una legge così sappi che cos'é un gallo forcello..
 
Ciao a tutti, questo referendum mi sembra alquanto datato: :roll: se ne vogliono davvero fare uno dovrebbero, a mio parere, cambiare tante cose nel testo.
Stiamo a vedere... chi ha notizie ci tenga aggiornati!
Ciao Emiliano :) :)
 
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